Osteoporosi

Che cosa è l'osteoporosi

L’osteoporosi è una malattia sistemica dello scheletro caratterizzata da una progressiva riduzione quantitativa della massa ossea e da alterazioni qualitative scheletriche che provocano un aumento della fragilità ossea e di conseguenza un aumento del rischio di frattura. Se ne conoscono due forme: la primitiva, comprendente le varietà post-menopausale, giovanile, maschile e senile e la secondaria causata da numerose patologie e farmaci. Le fratture da fragilità possono coinvolgere la maggior parte dei segmenti scheletrici, ma, più frequentemente, colpiscono il corpo vertebrale, l’estremo prossimale del femore e dell’omero e l’estremo distale del radio.

Le cause

Le cause più frequenti nelle fratture dello scheletro appendicolare sono le cadute. L’osteoporosi post-menopausale è la più frequente forma di osteoporosi primitiva. La causa principale è un deficit estrogenico dovuto alla menopausa che sfocia in un aumento della perdita ossea dovuta all’età e in una inibizione della formazione ossea. Si verifica un aumento del turnover osseo caratterizzato da una rapida perdita di massa ossea a livello trabecolare con perforazione delle trabecole mentre la corticale è parzialmente risparmiata. Tutto ciò contribuisce a determinare fratture da fragilità a carico soprattutto delle vertebre e del radio distale. Per osteoporosi giovanile si indicano forme di osteoporosi infantili e adolescenziali dovute a mutazioni genetiche che causano alterazioni quantitative o qualitative della componente connettivale dell’osso oppure alterata attività delle cellule osteoblastiche che agiscono soprattutto sull’osso trabecolare. L’osteoporosi maschile primaria è meno frequente della secondaria. Per tale ragione vanno sempre escluse condizioni patologiche associate, come ad esempio malassorbimento, alcolismo, corticosteroidi, iperparatiroidismo, ipogonadismo e mieloma multiplo. L’osteoporosi primitiva va sempre distinta dalle forme di osteoporosi secondaria poiché si differenzia sia per prognosi che per terapia, che non solo andrà a trattare la perdita di massa ossea, ma anche la patologia di base.

Diffusione

L’incidenza globale dell’osteoporosi è notevole: si stima che, nel nostro paese, oggigiorno ci siano circa 3,5 milioni di donne ed 1 milione di uomini affetti. Poiché si sta assistendo, oramai da svariati anni, ad un aumento dell’età media della popolazione italiana, è lecito attendersi, di conseguenza, un proporzionale aumento dei soggetti colpiti dall’osteoporosi.

Fattori di rischio

Esistono diversi fattori di rischio che aumentano la probabilità che l’osteoporosi si manifesti. Essi si dividono in non modificabili, come età, familiarità per fratture da fragilità, fratture pregresse, carenze ormonali, comorbidità, malattie ereditarie ed anomalie endocrine e modificabili come dieta, BMD, basso peso corporeo, abuso di alcol, fumo di sigaretta, inattività fisica, iper-calciuria, iper-omocisteinemia ed utilizzo di alcuni farmaci.

Diagnosi

La diagnosi strumentale dell’osteoporosi può essere effettuata utilizzando varie metodiche atte a misurare la densità minerale ossea (BMD), tra le quali spicca la Dual-energy X-ray Absorptiometry (DXA). Sono inoltre disponibili ulteriori metodiche quali la Quantitative Computerized Tomography (QCT) o l’indagine ultra-sonografica (QUS) e la radiologia convenzionale utilizzate altresì per la diagnosi di fratture vertebrali. L’indagine densitometrica rappresenta il gold-standard per la diagnosi di osteoporosi e permette di misurare il BMD in g/cm2 di superfice ossea. Questa tecnica confronta la densità ossea presa in esame con quella media di soggetti adulti, sani, dello stesso sesso (picco di massa ossea). L’unità di misura è rappresentata dalla deviazione standard dal picco medio di massa ossea (T-score). Il valore di BMD può anche essere espresso in rapporto al valore medio di soggetti di pari età e sesso (Z-score). Un BMD è considerato normale se ha un T-score compreso fra +2.5 e -1.0 deviazioni standard. Si considera osteopenico, quindi con basso BMD, un soggetto con un T-score compreso tra -1.0 e -2.5 deviazioni standard. L’osteoporosi è definita da valori di T-score uguale o inferiore a -2.5 deviazioni standard. Si parla di osteoporosi severa con un Tscore inferiore a -2.5 deviazioni standard e con la contemporanea presenza di una o più fratture da fragilità. I siti più frequentemente misurati sono la colonna lombare ed il femore prossimale 

Raccomandazioni

Approccio nutrizionale

Calcio
Nell’uomo il 99% del calcio si trova nelle ossa e nei denti, sotto forma di fosfato tricalcico-idrossiapatite, fluoruro e carbonato. Alla residua frazione extra-ossea (1%) spettano le funzioni essenziali per l’attività cellulare. Un adeguato introito di calcio incrementa la densità della matrice ossea nei bambini e negli adolescenti, la mantiene negli adulti, ne rallenta la perdita nelle donne in post-menopausa. Il fabbisogno quotidiano di calcio varia a seconda dell’età e di determinate condizioni. La principale fonte di calcio è rappresentata dal latte e dai suoi derivati, e in misura minore dalla frutta secca, da alcune verdure e dai legumi. In Italia l’introito giornaliero medio di calcio risulta insufficiente, soprattutto in età senile. L’apporto quotidiano di calcio dovrebbe essere superiore a 300 mg che vengono eliminati quotidianamente con l’urina. I bambini e gli adolescenti, il cui scheletro è in crescita, devono assumere ogni giorno con l’alimentazione molto più calcio di quello escreto con l’urina. Lo stesso vale per le donne in gravidanza, specialmente durante il terzo trimestre, durante il quale avviene lo sviluppo del sistema scheletrico. Gli adulti, che hanno terminato l’accrescimento, devono coprire con l’alimentazione le perdite urinarie di calcio. Considerando che l’intestino assorbe solo parte del calcio contenuto negli alimenti, per essere certi di assorbirne la quantità sufficiente, si rende necessario un introito supplementare. Infine, si deve tener presente che dopo i 60 anni di età l’assorbimento intestinale di calcio si riduce. Per questo motivo gli anziani hanno bisogno di maggiori quantità di calcio ed in genere si rende necessario un supplemento di vitamina D (o di uno dei suoi derivati attivi).
Vitamina D
Per vitamina D si intende un gruppo di pro-ormoni liposolubili costituito da 5 diverse vitamine: vitamina D1, D2, D3, D4 e D5. Le due più importanti forme nella quale la vitamina D si può trovare sono la vitamina D2 (ergocalciferolo) di provenienza vegetale e la vitamina D3 (colecalciferolo) derivante dal colesterolo e sintetizzato negli organismi animali, entrambe dall’attività biologica molto simile. La fonte principale di vitamina D è la radiazione solare. È altresì contenuta quasi esclusivamente nei grassi animali, pesce, fegato, latte e derivati, mentre trascurabile è la quota in alcuni grassi vegetali. La vitamina D, ottenuta dall’esposizione solare o attraverso la dieta, è presente in una forma biologicamente non attiva e deve subire due reazioni di idrossilazione (epatica e renale) per essere trasformata nella forma biologicamente attiva, il calcitriolo. Il calcitriolo è sintetizzato a livello renale dal calcidiolo (il 25-idrossicolecalciferolo) per azione dell’enzima 25-idrossivitamina D3 1-alfa-idrossilasi. La sua produzione è stimolata dalla diminuzione dei livelli sierici di calcio e fosfato e dall’incremento del paratormone o dai livelli di prolattina. Il principale punto regolativo è l’enzima 1-alfa-idrossilasi che attiva definitivamente la vitamina D3. Questo enzima e con esso l’intera via biosintetica è regolato positivamente dal PTH, che aumenta l’attività dell’enzima e negativamente dal calcitriolo e dai livelli plasmatici di calcio. Come gli altri ormoni liposolubili il calcitriolo non viene accumulato nelle cellule in vescicole secretorie, ma viene rilasciato in circolo via via che viene sintetizzato. Con l’avanzare dell’età tuttavia, questo meccanismo diventa sempre più inefficiente e ne consegue la frequente necessità di una supplementazione, specie in età senile, con vitamina D (colecalciferolo o ergocalciferolo), che, se associata ad un corretto introito di calcio, negli anziani si è rivelata utile nella prevenzione primaria delle fratture. Un adeguato apporto di calcio e vitamina D viene raccomandato, con vari gradi di raccomandazione ed evidenza, da tutte le linee guida prese in considerazione con una dose giornaliera massima di 2000 UI da 0 a 12 mesi, 4000 UI da 1 a 18 anni e 10000 UI >18 anni ed in caso di gravidanza ed allattamento.
Altre sostanze nutrienti
Un adeguato apporto proteico, vitaminico e di altre sostanze nutritive quali Vitamina K2, Vitamina E, Vitamina B6, Vitamina B12, acido folico, zinco, silicio, e magnesio sembrerebbero avere un ruolo protettivo sull’osso e sul muscolo, ma anche al fine di ridurre il rischio di complicanze dopo una frattura osteoporotica. Numerosi studi hanno dimostrato i benefici offerti dalla vitamina K2 sul sistema cardio-circolatorio, inclusa la possibilità di ridurre le calcificazioni a livello coronarico. La proteina Gla della matrice (MGP) vitamina K dipendente è uno dei più potenti inibitori della calcificazione vascolare e risulta inattiva in quest’ultimi. Una supplementazione con vitamina K2, nella forma di menaquinone 7 (MK-7) stimolerebbe l’azione della MGP riducendo il processo di calcificazione. Le vitamine D e K agirebbero quindi insieme al fine di aumentare la MGP, proteggendo le arterie sane dalla apposizione di cristalli di calcio. Questo ruolo protettivo è ancora più importante nei pazienti emodializzati che soffrono di una accelerata apposizione di calcio a livello dei vasi.

Attività fisica

Lo scopo dell’attività motoria in soggetti affetti da osteoporosi è creare una stimolazione meccanica dinamica, sufficiente ad ottenere un miglioramento della mineralizzazione ossea. La letteratura più recente riconosce come miglior stimolo possibile la forza muscolare trasmessa tramite i tendini al tessuto osseo durante la contrazione con esercizi isotonici a carico naturale o con pesi leggeri e a resistenza elastica. Considerando che periodi anche brevi di immobilizzazione sono assai deleteri per la massa ossea e per quella muscolare, risulta quindi chiara l’importanza di un mantenimento di un livello di attività fisica adeguato. Le caratteristiche fondamentali dell’attività fisica a scopo preventivo nel paziente osteoporotico sono:

  • Specificità.
    L’adattamento osseo rispetto sollecitazioni meccaniche è principalmente locale e in relazione al punto di inserzione muscolare. Per questo motivo risulta opportuno allenare specificatamente le regioni scheletriche da rinforzare. Quindi:

Femore:

a) Prossimale: pressa, squat, step, cammino.
b) Grande trocantere: esercizi che coinvolgano i glutei.
c) Piccolo trocantere: esercizi che coinvolgano l’ileopsoas.
d) Collo femorale: esercizi che coinvolgano gli adduttori e gli estensori dell’anca.

Vertebre lombari: esercizi di estensione del rachide resistita e contro gravità.

Polso: esercizi per gli arti superiori.

  • Sovraccarico: Gli effetti positivi sulla matrice ossea si esplicano con il progressivo aumento del carico meccanico, che deve essere comunque superiore ad una minima soglia efficace, tenendo sempre presente che un’attività fisica esagerata può comportare alterazioni ormonali e nutrizionali tali da produrre un osso con minore resistenza biomeccanica.
  • Valori di partenza: Il maggior sviluppo di massa ossea si nota nei soggetti che partono da un minore BMD. Di conseguenza con l’avvicinarsi della massima densità ossea si rendono necessari maggiori sforzi fisici. L’esercizio fisico è più osteogenico durante la fase di accrescimento quindi interventi in età pre- e adolescenziale possono ridurre il rischio fratturativo in quella senile.
  • Reversibilità: L’effetto osteogenico è legato all’attività fisica e di conseguenza si estingue se essa viene cessata

Le tipologie di attività fisica che oggi riconosciamo sono:  Attività aerobica a basso o alto impatto (jogging, calcio, pallacanestro, pallavolo, baseball, sport con la racchetta, ginnastica). Attività di rinforzo muscolare (pesistica, nuoto, bicicletta, uso di strumenti per esercizi statici). Gli obiettivi dell’attività fisica nella prevenzione e nel trattamento del paziente osteoporotico possono essere differenziati in primari e secondari. Rappresentano sicuramente target primari un incremento della massa ossea, un irrobustimento muscolare e un miglioramento della capacità aerobica del paziente. Per quanto riguarda i secondari si procederà ad esercizi per il miglioramento dell’equilibrio e della coordinazione al fine di prevenire eventi fratturativi dovuti a cadute, ad un incremento del trofismo dei tessuti molli ed ad una adeguata educazione posturale ed ergonomica. La prescrizione dell’esercizio fisico nel paziente osteoporotico va sempre preceduta da un attento esame obiettivo, utile a definire l’intensità di esercizio proponibile in base alla forza muscolare, all’equilibrio, allo stato cardio-vascolare e alla presenza di eventuali comorbidità disabilitanti. L’incoraggiamento ad intraprendere anche una modesta attività fisica tra gli anziani può contribuire a ridurre significativamente il rischio di cadute e quindi di frattura.

Per approfondire l'argomento

Per approfondire l’argomento leggi il relativo capitolo sul libro “Le Linee guida, buone pratiche ed evidenze scientifiche in Medicina Fisica e Riabilitativa – Primo Volume”.